Il suo talento risiede nel cuore, nell’apertura ad assorbire emozioni e sensazioni e nel suo sempre presente tratto ribelle.
Dolore, bisogno, dignità e voglia di riscatto della sostanza umana caratterizzano l’opera di questo “scultore senza frontiere”, che nella sua vita artistica non ha cercato fama e successo, ma fatica e sofferenza.
Giorgio Igne nasce a Milano nel 1934 e ancora piccolo, durante i difficili anni della seconda guerra mondiale, i genitori decidono il suo trasferimento presso la nonna, nella campagna sacilese. La natura che lo circonda trasforma questa temporanea dimora in residenza stabile e sede della sua grande produzione artistica.
Consegue il titolo di Maestro di scultura in pietra presso l’Istituto d’Arte di Venezia e si diploma in scultura all’Accademia di Brera a Milano sotto la guida dei Maestri Francesco Messina e Francesco Wildt.
La sua attività scultorea inizia negli anni ’50 e procede parallelamente all’insegnamento di discipline artistiche in vari istituti scolastici. Nei primi anni ’90 lascia la professione di docente e si dedica al volontariato nei territori della ex Jugoslavia devastati dalla guerra. Prima di rientrare definitivamente in Italia, soggiorna per lunghi periodi in diversi paesi del mondo: Argentina, Terra del Fuoco, Brasile, Bolivia, Ciad, dove realizza notevoli opere monumentali che testimoniano la sua presenza insieme al suo impegno sociale. In Italia continua con grande successo la sua intensa attività scultorea.
L’indagine intorno all’uomo è il perno centrale della ricerca artistica di Giorgio Igne. Al linguaggio classico delle prime realizzazioni quando utilizza materiali tradizionali quali bronzo, marmo e gesso, il Maestro sostituisce uno stile più immediato e diretto, rivolto all’esaltazione di una forma di matrice espressionista, caratterizzato da un realismo tormentato, pungente, talvolta esagerato. In questa fase sceglie come materiale il cemento: duro, resistente, impermeabile, dello stesso colore delle rocce e delle cave dell’Alto Livenza.
Nelle sue opere si trova l’esistenza umana, fatta di angosce, errori, dolori, ripensamenti; sentimenti che prendono forma nelle figure di donne e di madri consumate dalla fatica o dal pianto dei figli tenuti in grembo. Sono questi i temi principali delle opere come “Crocifisso”, “Donna”, “Madre”, “Madre e figlio”, “Condizione umana”, “Ruota della vita”, “J’accuse”, “Attesa” e “Partecipazione”. Molti dei suoi capolavori sono presenti anche nel territorio sacilese, in provincia e nei paesi limitrofi: sono esposti in edifici religiosi e civili o situati all’aperto, al fine di valorizzare i contesti urbani. Altre opere si possono invece ammirare in città europee ed in centro-sud America.
Passeggiando per Sacile si possono osservare alcune opere donate dallo scultore: “il pesce che gioca col il bambino” nei pressi del ponte della Vittoria; una ruota raffigurante “Santa Giuseppina Bakhita” sotto la Loggia del Comune, la “Donna di Sarone” e il “Fauno” all’interno di Palazzo Ragazzoni. Appena fuori dal centro, all’interno della chiesa di San Giovanni Battista, si può ammirare la Via Crucis rappresentata in sedici formelle in bronzo, mentre all’esterno della sede del Gruppo Alpini di Sacile si può vedere “La Meio Fameja”, un’opera alta tre metri e mezzo raffigurante una giovane futura famiglia (lui alpino, lei in dolce attesa ed un cagnolino con loro).
“… Ascoltando i racconti di questo libero viaggiatore dalle mani preziose e guardando il suo viso, ti sembra di percorrere un itinerario disegnato come una mappa.
Gli occhi che si illuminano, come squarci di mari e fiumi sotto i fulmini dei temporali dell’America Centrale, il naso all’insù quasi a sottolineare il valicare delle Alpi e il raggrinzarsi delle guance, quasi fossero percorse dai gelidi venti della Terra del Fuoco.
Lasciare lì la testimonianza delle proprie sculture, del proprio impegno sociale, donare ciò che non gli era richiesto, l’hanno fatto amare dalle genti a tal punto che molte tra queste gli hanno riconosciuto la cittadinanza onoraria.…..”
Gianni Camol